PARTIRE DALLE RADICI …. YAMA E NIYAMA.

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I primi due “anga”, rami, che Patanjali indica negli Yoga Sutra come parte di un percorso che porta alla liberazione dalla sofferenza, riguardano indicazioni su atteggiamenti verso il mondo esterno “yama” e verso il mondo interno “niyama”. Questo perché lo yoga sostiene che anche il nostro atteggiamento verso le cose può contribuire a ridurre sofferenza.

Lo Yoga Sutra indica cinque diversi Yama (atteggiamenti) cioè cinque possibili tipi di rapporto tra un individuo e il mondo esterno. Analizziamoli nel dettaglio.

Il primo è “Ahisma”, non violenza, ovvero rispetto consapevole verso le persone e le cose. Non significa solo benevolenza verso gli altri ma anche verso sé stessi. Bisogna quindi analizzare ogni circostanza con un atteggiamento di rispetto e benevolenza.

Il secondo Yama è denominato “Satya”. La parola satya significa dire la verità. Non è desiderabile, però, dire la verità sempre senza tener conto delle conseguenze. Dire la verità è benefico se non nuoce a nessuno. Se dire la verità può far male a qualcuno, è meglio tacere. Infatti satya non dovrebbe mai essere in contrasto con ahisma.

Il terzo Yama è “Asteya”, che significa non rubare ovvero non approfittare di una situazione in cui gli altri si fidano di noi.

Il quarto Yama è “Brahmacharya” il cui significato è muoversi nella direzione del vero. Spesso viene tradotta come celibato. In effetti significa specificamente che bisogna creare delle situazioni tali, nel rapporto con gli altri e con le cose, da favorire la comprensione delle verità più elevate.

Quando ci muoviamo verso la comprensione del vero, e i piaceri sensuali interferiscono sul cammino, dobbiamo mantenere la strada, dobbiamo mantenere la direzione senza smarrirci. Alcuni interpretano brahmacharya come continenza, o astensione dall’attività sessuale. Se facciamo tutto ciò che è possibile per avvicinarci al vero, ne deriva naturalmente la capacità di controllare i dieci organi di senso e di azione. Ciò non significa astinenza totale. Significa piuttosto senso di responsabilità per avvicinarsi gradualmente alla verità.

L’ultimo Yama è “Aparigraha”. Significa non afferrare, ovvero ricevere esattamente ciò che è appropriato. Dobbiamo ricevere soltanto ciò che ci spetta.

I Niyama, come gli Yama, sono atteggiamenti e non devono essere concepiti come azioni o pratiche. Hanno un carattere più intimo nel senso che sono atteggiamenti che si assumono verso sè stessi. Anche i nyama sono cinque.

Il primo Niyama è “Sauca”, o pulizia. Ha due aspetti. Uno interiore ed uno esteriore. Sauca esteriore, o pulizia, consiste semplicemente nel mantenere pulito il corpo. Sauca interiore implica la purezza degli organi interni e della mente. La pratica delle asana e del pranayama può essere considerato un sauca interiore.

Il secondo Niyama è “Santosa”, il senso di contentezza. Ogni volta che agiamo speriamo che le nostre aspettative si realizzino, e spesso rimaniamo delusi. Invece non bisogna disperarsi, ma accettare ciò che avviene. Ecco che cos’è la contentezza, un concetto considerato molto elevato.

Se c’è contentezza si può sempre realizzare la felicità spirituale. Invece di disperarsi perché le azioni non producono i risultati desiderati, si continua a progredire e a imparare dalle stesse azioni. Santosa è un sentimento che possiamo provare verso noi stessi, verso ciò che abbiamo e che ci è stato dato.

Il terzo Niyama è “Tapas”, che significa mantenere il corpo in forma, è come riscaldare il corpo per purificarlo. Le asana, l’attenzione verso le abitudini alimentari, il pranayama sono tutte forme di tapas che contribuiscono a evitare l’accumularsi di tossine nell’organismo. Tapas serve a tenere il corpo sano.

“Svadhyaya” è il quarto Niyama che significa avvicinarsi a sé stessi, cioè studiare sé stessi. Qualsiasi studio, riflessione o contatto che ci aiuti a capire meglio noi stessi è svadhyaya.

L’ultimo Niyama è “Isvara- pranidhana” che significa deporre tutte le nostre azioni nel Signore o comunque in qualcosa di superiore alle nostre possibilità. Questo atteggiamento implica che siamo consapevoli di aver fatto il nostro meglio e perciò lasciamo i frutti delle nostre azioni nelle mani di qualcosa che è più in alto di noi.

Chiunque decida di fare un percorso yoga di consapevolezza e liberazione dalla sofferenza non può ignorare questi “atteggiamenti” perché lo yoga non è solo asana ovvero parte fisica ma dobbiamo agire anche sulla nostra anima, sul nostro spirito per iniziare il cammino.

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