Gli ostacoli sul cammino dello yoga secondo Patañjali

Gli ostacoli sul cammino dello yoga secondo Patañjali,yoga yoga

Nel primo libro degli Yoga Sutra Patanjali definisce lo yoga come  un processo per purificare e calmare la mente e renderla pronta per meditare e a seguire elenca anche i vari ostacoli che si possono incontrare sul percorso.

Nel sutra I.30 ci dice che tali ostacoli, che distraggono la mente, sono: (1) malattia, (2) apatia, (3) dubbio, (4) negligenza, (5) pigrizia, (6) intemperanza, (7) visione errata, (8) incapacità di raggiungere obiettivi, (9) instabilità.

 1) Vyādhi è la malattia, causata da uno squilibrio nei tessuti vitali (dhātu), nelle secrezioni (rasa) e nei sensi di azione (karmendriya) e di conoscenza (jñānendriya). Nell’Āyurveda si parla di tre umori (doṣa), ossia aria (vāta), bile (pitta) e flemma (kapha), il cui squilibrio genera la malattia.

 2) Styāna è l’apatia, una sorta di riluttanza nei confronti del lavoro yogico. Vyāsa e Bhoja parlano di incapacità mentale di agire. Secondo Śaṅkara, si tratta di una specie di paralisi mentale. Altri lo intendono come pigrizia o indolenza mentale: quando la mente è abituata a essere irrequieta e distratta, si rifiuta di fermarsi per fare qualcosa in modo costante. Piuttosto procrastina, rimanda, trova scuse.

3) Saṃśaya è il dubbio, l’indecisione, l’eterna riflessione sul da farsi. Quando ci si trova in questo stato, la mente oscilla tra due o più possibilità. Ad esempio, perdersi nel supermarket spirituale può fomentare il dubbio. Saṃśaya va però distinto dal dubbio in senso filosofico, ovvero da un sano spirito critico e inquisitivo.

4) Pramāda, la negligenza, consiste nel fare svogliatamente o con scarso impegno i propri doveri. È un atteggiamento che denota disattenzione nel fare le cose. Secondo alcuni commentatori la negligenza ha due aspetti, uno legato a tamas e l’altro a rajas: il primo implica trascuratezza nello svolgere un compito, il secondo fretta e precipitosità.

5) Ālasya è la pigrizia. Secondo Vyāsa è l’inerzia causata dalla pesantezza del corpo e della mente. La pesantezza del corpo è dovuta alla presenza di flemma (kapha), uno dei tre umori, mentre la pesantezza della mente è causata da tamas. Questi due aspetti, quando presenti, conducono all’inattività.

6) Avirati è l’intemperanza, la mancanza di moderazione nel soddisfacimento degli appetiti naturali, l’avidità sensoriale, l’eccesso di desiderio per le cose del mondo. È la propensione a rivolgersi verso la vita esteriore, ossia verso il possesso e il potere (artha) e verso la sensualità (kāma). Secondo alcuni commentatori avirati è l’incapacità di interrompere l’attività fisica e mentale volta al conseguimento di obiettivi mondani.

 7) Bhrāntidarśana è la visione errata, il punta di vista filosofico errato, la percezione errata. Esso può arrivare a comprendere addirittura il fondamentalismo religioso.

8) Alabdhabhūmikatva indica il non riuscire a conquistare uno stadio (bhūmi) e a stabilirsi in esso. Si riferisce in modo particolare agli stati di meditazione profonda.

 9) Anavasthitatva è l’instabilità, ovvero il retrocedere da uno stadio di meditazione raggiunto in precedenza.

Nel sutra successivo  I.31  ci parla poi dei sintomi che accompagnano le distrazioni sono (1) sofferenza, (2) disagio mentale, (3) tremore delle membra e (4) respiro caotico.

Questi quattro sintomi abbracciano l’intero complesso psicofisico dell’individuo: due sono di natura più mentale ed interiore, gli altri di natura fisiologica o esteriore.

  1. Duḥkha è la sofferenza, ovvero lo stato di disagio e insoddisfazione. Una mente distratta e dispersa è per forza di cose una mente piena di infelicità; non c’è possibilità di pace e agio nella continua altalena delle distrazioni mentali
  2. Daurmanasya è inteso come disagio mentale, malinconia o depressione: si intende soprattutto lo stato di squilibrio e disturbo del sistema nervoso e psicosensoriale, diretta conseguenza di duḥkha. Può essere inteso come la manifestazione della propria vulnerabilità ai vari stati mentali, come la frustrazione dovuta alla mancanza di pace che una mente distratta comporta.
  3. Aṅgamejayatva, indica il ‘tremore delle membra’ ed è inteso come la manifestazione sul piano fisico di uno stato di squilibrio e frammentazione interiore; la distrazione mentale si manifesta nella costante irrequietezza del corpo, nella disarmonia dei movimenti, nei tic nervosi e nei movimenti incontrollati.
  4. Śvāsapraśvāsa indica letteralmente ‘inspirazione ed espirazione’. Il termine indica in questo caso la forma scorretta, caotica, bloccata, contratta o superficiale di respirazione. Mente e respiro sono strettamente connessi e si condizionano reciprocamente: le distrazioni hanno un effetto diretto sulla respirazione, modificandone e bloccandone il corso naturale.

Da quanto detto emerge un quadro complessivo di ciò che è l’individuo ‘ordinario’, ovvero di colui che vive in balia delle distrazioni mentali: è un individuo frammentato e sofferente, sofferente nella mente e nel corpo.

Lo yoga sembra dunque capovolgere la nostra idea di ‘normalità’ e di ‘spontaneità’: la persona distratta, continuamente identificata con i suoi stati mentali, con le sue narrazioni e con la sua emotività (cose che possono apparire assolutamente ‘normali’) si trova in realtà in uno ‘stato alterato di coscienza’, e vive una vita piena di automatismi, profondamente innaturale e intrisa di sofferenza.

Al contrario, lo yogin che ha acquisito una mente stabile, pacificata e silenziosa, è in grado di guardare le cose con un certo distacco e con obiettività. Questo yogin è ritornato al centro, si è liberato di un fardello, e si è ricongiunto con ciò che è naturale.

 

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